Pinsa e pizza: conosci le differenze?
La pinsa romana è diventata un appuntamento quasi fisso delle nostre serate, ma in cosa si differenzia dalla pizza? È arrivato il momento di scoprirlo insieme, nonché di fare chiarezza sulle origini romanzate di questo lievitato dalla caratteristica forma ovale. A differenziare i due prodotti non sono solamente le zone che li hanno visti nascere, ma anche la forma e, come vedremo, gli ingredienti.
Il segreto della pinsa? Un impasto leggero a lunghissima lievitazione
La pinsa vanta la presenza di una miscela composta da riso, soia, farine e frumento e prevede una scarsa quantità di lievito: quest’ultimo dovrà riposare per moltissimo tempo, da un minimo di 24 a un massimo di 48 ore. Il risultato di tanta attesa sarà un impasto elastico e croccante, molto leggero e digeribile, che potrai guarnire a piacere con tutti gli ingredienti che desideri o che normalmente utilizzeresti per condire una pizza tradizionale. La sua morbidezza, in particolare, è dovuta alla presenza della farina di riso.
Via libera ad accostamenti di sicuro successo come quello tra il pomodoro e la mozzarella, ma anche a versioni con i fiori di zucca, i funghi, le acciughe o la salsiccia. La pinsa si rivelerà ottima anche condita a crudo, con la mozzarella di bufala, il basilico e i pomodorini pachino.
Un’ottima pinsa è fatta con il suo caratteristico impasto composto da un mix di farine specifico e risulterà fragrante sui bordi e morbida all’interno. L’unica accortezza da tenere presente sta nel momento in cui stenderai l’impasto sulla teglia: essendo piuttosto delicato tenderà a rompersi.
La pinsa: le vere origini non sono nell’Eneide
Come suggerisce anche il nome, si tratta di una specialità che ha riscosso un grande successo a Roma e nel Lazio, sia per la sua innegabile bontà sia per la storia (poi smentita) delle sue origini antichissime. Fino a non molto tempo fa, circolava la suggestiva leggenda che la pinsa fosse una rivisitazione di un’antica focaccia cucinata in epoca romana e citata persino da Virgilio nell’Eneide. Tale legame con il mito fondativo dell’Urbe è, però, falso, come dichiarato dallo stesso inventore della pinsa Corrado di Marco in un’intervista. Il termine pinsa deriva, in effetti, da un verbo latino (pinso, pinsere) che significa schiacciare, ma la scelta del suo nome deriva dalla volontà del suo inventore di dare un passato importante alla ricetta e non dall’effettiva antichità della stessa. Insomma, si è trattata di una brillante mossa di marketing.
La prima pinsa, in realtà, sarebbe stata sfornata per la prima volta nel più recente 1981 e deriverebbe dalla volontà del suo inventore di presentare ai propri clienti un impasto leggero e gustoso, che fosse privo di grassi, digeribile ed estremamente fragrante.
Nel 2001 è avvenuta la registrazione del marchio e negli anni seguenti questa squisita ricetta si è diffusa in maniera capillare non solo a Roma, ma lungo tutta la penisola, dando vita a qualche variante, ma anche ad accademie volte alla realizzazione di una pinsa cucinata a regola d’arte, con un occhio soprattutto alla preparazione dell’impasto che, come abbiamo visto, rappresenta la novità principale di questa bontà. Anche togliendole il fascino legato al mito, la pinsa romana resta un piatto unico capace di conquistare anche il palato più esigente.
La pizza
Della pizza è quasi superfluo parlare: fiore all’occhiello della cucina italiana, nasce a Napoli intorno al XVI secolo e si distingue per il cornicione gonfio e morbidissimo e per essere alta, a differenza della pizza romana (no, non la pinsa, stavolta parliamo proprio della pizza) che, per tradizione, nella Capitale viene sfornata quasi sempre bassa.
Si distingue per essere composta da una sola tipologia di farina, quella 0 o 00 di grano tenero: ecco perché i suoi bordi sono morbidi, proprio come vuole la migliore e gustosissima tradizione campana.